Descrizione
Un ammonimento impressionante contro la rimozione e l’oblio. ORF ZiB
Saggi, articoli, discorsi, interventi danno forma a Topografia della memoria che a prima vista sembra una collezione antologica. Invece basta poco per accorgersi che quello offerto al lettore non è solo un viaggio in temi importanti dell’ultimo secolo e nella nostra coscienza storica e civile, è anche un dono di artigianato culturale, una sorta di apprendistato grazie al quale ci si immerge tra testi, fotografie, deduzioni, luoghi, lingue, tranelli e nebbie dei ricordi, per creare, ancora una volta, una nuova mappa dell’Europa centrale e del nostro essere figli delle tragedie e dei tentativi di riscatto del Novecento. Il valore aggiunto è che in ogni pagina sentiamo la presenza, al nostro fianco, di un maestro come Pollack.
Ci si muove tra argomenti diversi come il massacro di Rechnitz nelle ultime settimane di guerra; i cosiddetti “Reibpartien” viennesi; il mito della Galizia; la storia polacca e ucraina del dopoguerra o il coinvolgimento della famiglia di Pollack nel nazionalsocialismo; la Prima guerra mondiale; cosa si può dedurre dall’osservazione delle fotografie…
AUTORE
STAMPA INTERNAZIONALE
Un ammonimento impressionante contro la rimozione e l’oblio. ORF ZiB
Martin Pollack mostra come si possano combinare in modo sorprendente politica, storia e letteratura, testimonianza e scrittura d’autore. Ö1 MORGENJOURNAL
Un artigiano della memoria di prim’ordine. ORF
Il nuovo volume di Pollack è una prova notevole delle sue capacità saggistiche, ma soprattutto dello sguardo preciso e paziente con il quale ripercorre storie poco note… JULIUS SCHLÖGL, FM5
Martin Pollack sente la mancanza dell’Europa centrale, che sembra vicina e a volte lontana. Nel suo Topografia della memoria porta alla luce la Storia attraverso storie spesso spiacevoli, ma sempre intellettualmente stimolanti. STEPHAN STACH, FAZ
STAMPA ITALIANA
Martin Pollack, sulle tracce del padre nazista: «Per i colpevoli è difficile raccontare»
IL PICCOLO, 15/05/2011
Federica Manzon
È difficile ricondurre i libri di Martin Pollack a un genere letterario. Sono reportage ma al contempo anche romanzi mitteleuropei, sono viaggi nelle tenebre della memoria personale e collettiva, mappe d’Europa che scavalcano ogni confine storico per indagare la geografia umana. Non stupisce che tra l’autore austriaco e il triestino Claudio Magris il carteggio sia fitto e l’incontro profondo. «Magris mi ha insegnato a riflettere oltre i confini delle nazionalità, il suo è l’esempio di un pensiero autenticamente europeo» dice Pollack con calore. “Caro Martin, quella geografia, quella storia e quella topografia del tuo libro sono il ritratto del mio volto” scrive Magris recensendo “Galizia”. A unirli non è solo l’appartenenza a un pensiero mitteleuropeo che fa dei margini un luogo privilegiato da cui guardare la Storia, ma anche una certa vocazione al viaggio, il bisogno incessante di spingersi verso linee di confine dove i popoli non hanno mai smesso di mescolarsi e perdersi, fossero questi i “Paesaggi contaminati” dei massacri europei o i luoghi oscuri della memoria personale, come nel libro “Il morto nel bunker. Inchiesta su mio padre” …
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Per capire il silenzio dei colpevoli ti devi ubriacare con sidro di pere
TUTTOLIBRI, 15/5/2021
Federica Manzon
«Tutte le storie devono essere raccontate, nessuna tragedia va taciuta. Ma mentre lo facciamo non dobbiamo mai perdere di vista l’obiettivo: comprendere l’Altro, accettarlo così com’è, con tutto il peso della sua Storia» scrive Martin Pollack, scrittore e giornalista austriaco che nei sui libri non si è mai tirato indietro dall’indagare le storie più dolorose, fossero quelle dei paesaggi europei contaminati dai massacri o quelle della sua famiglia, in un instancabile tentativo di ricostruire una mappa che non lasci indietro nessuna storia. A questo sforzo essenziale per il nostro tempo è dedicato Topografia della memoria, appena pubblicato dall’attento editore trentino Keller, nella traduzione di Melissa Maggioni.
Scavare nella propria memoria familiare non è stato facile per Pollack. Cresciuto nella Linz dell’immediato dopo guerra, divisa in due zone sotto il controllo russo e americano, è sempre stato consapevole del tipo di ambiente in cui era nato. Suo nonno e gli zii, tutti nella famiglia paterna…
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Le cronache banali del Male in azione
CORRIERE DELLA SERA, 25/5/2021
WALTER VELTRONI
Martin Pollack è figlio di un nazista e ha scoperto, quasi casualmente, che suo padre si era reso responsabile di un eccidio di ebrei in Polonia. Il libro in cui racconta la straziante ricerca delle sue radici, Topografia della memoria (Keller editore) inizia con queste parole: «La grande Storia diventa più facile da comprendere se la osserviamo dal basso, dalla prospettiva di singole esperienze, vicende e anche tragedie. Per questo motivo, quando ci si confronta con il passato, i ricordi sono così importanti, quelli delle vittime come quelli dei carnefici ma anche degli spettatori, coinvolti o meno»…
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LA MEMORIA SPIACEVOLE
L’ADIGE, 7/6/2021
«Da anni il suo nome in Italia è legato all’editore roveretano Keller, in una sintonia che non è solo professionale. E dopo aver pubblicato libri che incidono nella comprensione non solo del nostro passato, ma anche nella capacità di lettura e di comprensione di una Mitteleuropa lontana dagli stereotipi… ora Keller pubblica “Topografia della memoria” […] Un grande libro […]»
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GLI SPETTATORI DELLA STORIA
Nelle foto osservano la sofferenza delle vittime. Ma cosa c’è dietro ai loro sguardi?
CORRIERE DELLA SERA, 5/6/2021
CLAUDIO MAGRIS
Nel grande mattatoio della Storia non ci sono soltanto vittime e carnefici; ci sono anche gli spettatori della violenza e non poche fotografie hanno colto i loro volti, l’espressione con cui guardano le vittime e gli oltraggi che stanno subendo. Non è facile capire quei loro sguardi ed è ancor meno facile capire se i fotografi che li riprendono vogliono semplicemente documentare ciò che sta accadendo oppure denunciare l’indifferenza e il compiacimento di molti davanti all’umiliazione e alla sofferenza degli altri o magari diffondere invece immagini di comportamenti che approvano.
Il fotografo che, in una strada di Vienna del 1933, nei giorni dell’Anschluss — che trasforma l’Austria da Stato indipendente a Marca Orientale del Terzo Reich — ritrae donne e uomini, in particolare ebrei, oltraggiati e persone intorno a loro che li guardano compiaciuti, chi è? È un professionista che fa il suo mestiere documentando ciò che accade nella realtà e nelle teste delle persone, è un democratico che vuole bollare la brutalità intorno a lui e denunciarla o un antisemita che vuol serbare il ricordo di una bella giornata, stampata nel volto di molti astanti, come il piacere di una scampagnata di cui si vuole avere un ricordo? I volti delle persone ritratte sembrano guardare, in generale, benevolmente quelli che si accaniscono sulle vittime.
Poca cosa, quei servizi fotografici, se si pensa allo sterminio programmato degli ebrei e di molti altri. I grandi artisti della fotografia esprimono nelle loro immagini il loro giudizio, il loro sentimento e la loro creatività, ma una fotografia normale e senza pretese può esprimere, intenzionalmente o no, una verità collettiva più inquietante o anche più verità, diverse e contrastanti. Un grande interprete di queste immagini banali e mediocri, ma talora terribilmente significative, è uno scrittore assai notevole, Martin Pollack. Nel suo libro Topografia della memoria, recentemente uscito in Italia nella bella traduzione di Melissa Maggioni (Keller editore), Pollack si addentra nei gorghi della Storia come sfogliando cartoline trovate da un rigattiere — modesto e terribile album dell’umanità — quasi per scrostare da quelle immagini la polvere dell’oblio che vota a un’ulteriore morte le vittime senza nome. Forse il titolo Topografia della memoria non è adeguato al libro, perché questo non tratta tanto della memoria, ossia del passato, bensì dei tanti strati, antichi o recenti ma sempre presenti, della realtà. Nato nel 1944, giornalista e già corrispondente dello «Spiegel», grande viaggiatore per il quale viaggiare è anche — forse soprattutto — una forma di vita e di scrittura, Martin Pollack è autore di libri inconsueti e affascinanti, narrazioni di luoghi e di paesaggi veri e perciò ancora più fantastici e sorprendenti. Il paesaggio materiale e fantastico della sua fantasia creativa nutrita di precisione è la Mitteleuropa indefinibile e dai molti nomi: Mitteleuropa-austro-tedesca-slava-ebraica, tedeschi e austro-tedeschi, ebrei di tutte le nazionalità e lingue, sloveni, croati, serbi, cechi, slovacchi e cecoslovacchi…
Ho conosciuto Pollack tanti anni fa al Caffè Sperl di Vienna e siamo diventati subito amici, ma soprattutto abbiamo viaggiato insieme in vari angoli di quell’universo. La sua tessera preferita di quel mosaico resta, credo, la Galizia, con i suoi ruteni, inventati secondo alcuni dagli Absburgo per far dispetto ai polacchi o forse ucraini, i lemchi, i boyko, gli huzuli, forse la stessa cosa o quasi.
Pollack ha dedicato un bellissimo libro di viaggi alla Galizia e alle sue città dai tanti nomi, all’ebraismo orientale chassidico e alla sua prodigiosa imprevedibile ricchezza umana, religiosa e poetica, o al mondo nomade degli zingari dei vari paesi. Ma ha scritto pure dei paesaggi sarmatici e lituani e bielorussi dell’universo totalitario sovietico con le sue tragedie e le sue ecatombi.
Ma è anche autore di un libro di particolare intensità, in cui affronta — con una fermezza oggettiva che fa sentire ancora di più il suo asciutto dolore — la figura di suo padre. Egli porta infatti il cognome del suo padre adottivo; quello naturale era un nazista colpevole di gravi e feroci delitti, morto in circostanze torbide mentre cercava di fuggire. È indimenticabile la fermezza sobria e dolorosa con cui Pollack — nel libro Il morto nel bunker (2004) — fa i conti non tanto con lui ma con ciò che significa tale vicenda per la sua propria esistenza. In generale egli fa parlare non le sue opinioni ma i fatti sui quali esse si fondano e non permette che il suo dramma personale sconvolga l’esattezza del racconto.
Abbiamo viaggiato insieme in Polonia, in vari luoghi e città, negli anni in cui iniziava lo sgretolamento dei regimi comunisti nell’Europa dell’Est. Viaggi pieni di cose, d’incontri; in quegli anni sono diventato amico — e lo sono ancora — di alcuni tra i più grandi combattenti di quelle battaglie per la libertà, ad esempio Adam Michnik, irriducibile nel suo buon combattimento che gli era costato anni di prigione nella Polonia comunista, i quali non gli impedivano di ricordare, bevendo più che gagliardamente, come suo padre ne avesse passati anche di più nelle prigioni della Polonia anticomunista di prima della Seconda guerra mondiale.
Martin Pollack insegna ad ampliare «il ristretto spazio nazionale della memoria, in cui ci muoviamo come gli asini intorno a un mulino», come scrive nella sua Topografia della memoria. Non ho avuto occasione di chiedergli cos’ha pensato e sentito, qualche tempo fa, quando ha visto sfilare nel Rynek Starego Miasta, la grande piazza vecchia di Varsavia a suo tempo distrutta dai nazisti, cortei di ultras polacchi che agitavano croci uncinate e vessilli del Terzo Reich. No, il detto latino si sbaglia, la Storia non è maestra di vita.
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