Descrizione
Il libro di Markijan Kamyš è decisamente una doppia scoperta per ogni lettore!
La prima scoperta è l’autore con la sua scrittura piena di vita ed estremamente dinamica, e l’altra è il contenuto del libro che svela una realtà completamente sconosciuta: la vita nella Zona di Černobyl’ al di là del filo spinato, la vita descritta da chi ha fatto di quest’area un personale campo di gioco, segreto e illegale. ANDREI KURKOV
Un testo abbacinante. LES INROCKS
Libro stupendo. LE NOUVEL OBSERVATEURFantastico. L’HUMANITÉ
Scritto in modo superbo. LE POINT
Černobyl’ dopo Černobyl’ – oggi – come nessuno l’ha raccontata!
In parte reportage, in parte memoir, in parte romanzo e in parte nuova e insolita geografia letteraria.
Una corsa umanissima e a perdifiato nella Zona tra momenti di luce e tenebra, leggerezza e toccante profondità.
Markijan Kamyš è uno scrittore ucraino nato nel 1988. Il padre era uno dei cosiddetti “liquidatori” di Černobyl’, fisico nucleare e ingegnere dell’istituto per la Ricerca nucleare di Kiev, morto quando Kamyš aveva quindici anni.
Dopo aver studiato Storia all’Università nazionale Taras Ševčenko, si è dedicato alla scrittura e alla scoperta della Zona di esclusione di Černobyl’ come esploratore illegale, trascorrendovi, in totale, molti mesi.
ESTRATTO
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Com’è adesso la Zona di Čornobyl’? Per alcuni è il terribile ricordo di un’infanzia semidimenticata, di una felice giovinezza sovietica, in cui nel giro di pochi giorni la tua esistenza va a rotoli e tu e tutti i tuoi vicini dovete lasciare le vostre cose e rifarvi una vita. Per altri la Zona di Čornobyl’ è quella merda radioattiva che hai dovuto spalare nel maggio del 1986. Per altri ancora è una terra incognita pieni di miti, zombie e soldati sui carri armati. Per qualcuno sono le escursioni ufficiali, quelle in cui venditori senza scrupoli tra un discorsone e l’altro fanno i soldi alle spalle di turisti sprovveduti. Per qualcun altro è la location di un videogioco pieno di uomini duri con i kalashnikov che mangiano carne in scatola e bendano ferite d’arma da fuoco nella nebbia di un mattino paludoso. E c’è anche gente per cui lì non c’è niente di buono e la Zona non è altro che il posto dove hanno girato Chernobyl Diaries – La mutazione.
Nel mio caso è anche peggio. Per me la Zona è un luogo di relax. Altro che il mare, i Carpazi, il Donbass o la Turchia, invasa da puttane abbronzate e inondata di mojito. Una ventina di volte all’anno io faccio il turista clandestino nella Zona di Čornobyl’, lo stalker, il pedone, il solitario, l’idiota, chiamatemi come volete. Di me non si accorge nessuno, ma io ci sono. Esisto. Quasi come una radiazione ionizzante. Volete sapere come faccio? Prendo lo zaino, arrivo dove c’è il filo spinato e svanisco nelle tenebre delle foreste, delle radure e degli aromi di pino della Polissja, scompaio tra boschi incredibili e nessuno, per alcun motivo al mondo, si accorge di me.
Sto parlando degli stalker. Non quelli che collezionano maschere antigas da bambino nei rifugi antiaerei dei capoluoghi di provincia, non quelli che fotografano ecomostri abbandonati nei quartieri dormitorio. Sono altri che ho in mente. Ragazzi e ragazze con uno zaino in spalla che non si fanno problemi a mettersi in marcia verso città e villaggi abbandonati tra il freddo e la pioggia. Lì dove ti puoi sbronzare di vodka da due soldi, dove puoi spaccare i vetri con le bottiglie, bestemmiare a squarciagola e combinare tante altre belle cose che non si possono fare nelle città dove la gente vive. Sono quelli che non hanno paura delle radiazioni, quelli che non si formalizzano a bere da fiumi e laghi pieni di veleni. Quelli che fanno foto bellissime dai tetti di Prypjat’ che poi finiscono su «Forbes» e «National Geographic»A volte penso che non esistiamo. Non ci sono quelle quaranta persone che regolarmente si mettono a vagare tra le paludi di Čornobyl’. Un tempo c’eravamo, poi ci siamo dissolti tra gli acquitrini, ci siamo decomposti in lenticchie d’acqua, giunchi e luce del sole. Siamo spettri delle paludi, stringiamo le mani ai nazisti dai capelli biondi a cui gli archeologi non sono ancora arrivati. Loro ci offrono sigarette Rheni, ci riempiono le tasche di proiettili e ci sussurrano dolcemente parole di incoraggiamento.
Non si accorgono di noi neanche le mosche…